13.12.19

Serie, saghe, identità e differenza. Jam del Solstizio!

Le serie numeriche ci hanno conquistato. Non esiste prodotto che abbia rilevanza culturale che non sia ripetibile indefinitivamente. 



Pensiamo alle saghe televisive. Non solo si succedono incessantemente di stagione in stagione, ma sono costruite in modo che non si esauriscano mai. Sono senza finali, senza una minima conclusione soddisfacente. Sembrano macchine i cui personaggi giocano le proprie caratteristiche indefinitivamente, senza mai svelarsi completamente. Solo la noia e la disaffezione ci salvano. Oggi è la noia del pubblico che costituisce la condanna a morte di un personaggio o di una serie. La differenza col passato? Le serie erano, generalmente, dei meccanismi che si replicavano inutilmente all'infinito, ma che di puntata in puntata si esaurivano completamente. Star Trek, Friends, bigbag theory, The Simpson, solo per citarne alcune, erano rassicuranti, si sapeva come sarebbero svolte, i soliti personaggi, le solite trame, nessuna evoluzione, se non per aggiornare il meccanismo narrativo. Poi all'inizio del duemila, ecco l'arrivo di un nuovo modo di pensare le serie, psicologicamente più capace di creare dipendenza. Le storie non sono rassicuranti e ripetitive, ma sembrano sempre in movimento lasciando lo spettatore incuriosito nella speranza di svelare qualche mistero che non verrà mai e poi mai risolto. Perché questa mancanza di soluzione è il segreto stesso della passione dello spettatore rispetto al legame che si costruisce con i personaggi e la storia. Lo spettatore è trattato come uno dei personaggi della serie, non sa tutto, gli sfugge sempre qualcosa che gli impedisce di "comprendere". I personaggi si svelano con lentezza, non sono propriamente imprevedibili, ma ne scopriamo man mano le ragioni, i moventi psicologici, la storia personale. Pian piano che la serie prosegue in realtà nulla cambia se non la nostra presunta conoscenza dei personaggi che quindi diventano più reali, più vicini a persone di cui facciamo conoscenza, sempre un po' alla volta, pian piano. "The lost" è forse la prima di questo genere. Ora ogni serie diviene una saga, potenzialmente, infinita. Uno sfondo, un universo, in cui lo spettatore si ritrova e di cui si nutre. Infinita o indefinita come le possibili variazioni che si propongono di quegli stessi universi, pensiamo a Star Wars, o alle storie degli eroi della Marvel. Come se queste storie non siano più dei racconti, ma dei mondi sterminati in cui attingere e che possono durare fintanto che gli spettatori non se ne siano nauseati. Questo è la nuova legge dello spettacolo: la dipendenza. Una dipendenza legata alla promessa di scoprire qualcosa di nuovo e definitivo.
Così come le serie anche i mezzi di mediazione relazionale che sono diventati gli smartphone, si propongono come un indefinita ripetizione dell’identico mancato. Anch’essi sono proposti come una infinita serie numerica che non indica altro che una promessa mancata. Il nuovo, non sostituisce il vecchio, ma lo rende obsoleto con la semplice nuova numerazione seriale. Cosa c’è nel nuovo che il vecchio non aveva? Nulla, solo la promessa di essere al passo con i tempi. Una promessa impossibile da mantenere anche in questo caso. Come le serie televisive, la tecnologia che ci circonda non porta nulla di nuovo, ma reitera la promessa di un futuro in cui non avremo bisogno d’altro. Un futuro in cui saremo, potremo, sapremo, ma che non vediamo mai realizzarsi veramente. Siamo cullati da questa passiva speranza. La gioia di conoscere è sempre rinviata, la speranza di essere sempre allontanata, barattata nel cullarsi dolce che qualcuno o qualcosa lo faccia per noi. Finché non ci annoiamo di aspettare o ci dimentichiamo perché abbiamo iniziato il viaggio. Una serie di per sé non può che essere infinita. Una trappola a cui siamo predisposti a cadere. Occorre rompere le serie, fare intervenire la differenza nella ripetizione, per liberarci da questa nuova schiavitù.
Il solstizio si avvicina e per uscire dalla passività e per realizzarsi realmente non ci resta che suonare ed improvvisare. Producendo attivamente, affermando chi siamo in ogni istante, come esercizio di disintossicazione dalla serie ripetitiva, l’improvvisazione è uno strumento per liberarsi dalla serialità. 

Dunque, non possiamo che invitarvi tutti al grande sabba dell’improvvisazione, celebrato per la sedicesima volta. Non una serie, ma un anniversario! Come sempre chiunque è benvenuto. Venerdì 20 dicembre dalle ore 18.

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