Le
serie numeriche ci hanno conquistato. Non esiste prodotto che abbia
rilevanza culturale che non sia ripetibile indefinitivamente.
Pensiamo alle saghe televisive. Non solo si succedono incessantemente
di stagione in stagione, ma sono costruite in modo che non si
esauriscano mai. Sono senza finali, senza una minima conclusione
soddisfacente. Sembrano macchine i cui personaggi giocano le proprie
caratteristiche indefinitivamente, senza mai svelarsi completamente.
Solo la noia e la disaffezione ci salvano. Oggi è la noia del
pubblico che costituisce la condanna a morte di un personaggio o di
una serie. La differenza col passato? Le serie erano, generalmente,
dei meccanismi che si replicavano inutilmente all'infinito, ma che di
puntata in puntata si esaurivano completamente. Star Trek, Friends,
bigbag theory, The Simpson, solo per citarne alcune, erano
rassicuranti, si sapeva come sarebbero svolte, i soliti personaggi,
le solite trame, nessuna evoluzione, se non per aggiornare il
meccanismo narrativo. Poi all'inizio del duemila, ecco l'arrivo di un
nuovo modo di pensare le serie, psicologicamente più capace di
creare dipendenza. Le storie non sono rassicuranti e ripetitive, ma
sembrano sempre in movimento lasciando lo spettatore incuriosito
nella speranza di svelare qualche mistero che non verrà mai e poi
mai risolto. Perché questa mancanza di soluzione è il segreto
stesso della passione dello spettatore rispetto al legame che si
costruisce con i personaggi e la storia. Lo spettatore è trattato
come uno dei personaggi della serie, non sa tutto, gli sfugge sempre
qualcosa che gli impedisce di "comprendere". I personaggi
si svelano con lentezza, non sono propriamente imprevedibili, ma ne
scopriamo man mano le ragioni, i moventi psicologici, la storia
personale. Pian piano che la serie prosegue in realtà nulla cambia
se non la nostra presunta conoscenza dei personaggi che quindi
diventano più reali, più vicini a persone di cui facciamo
conoscenza, sempre un po' alla volta, pian piano. "The lost"
è forse la prima di questo genere. Ora ogni serie diviene una saga,
potenzialmente, infinita. Uno sfondo, un universo, in cui lo
spettatore si ritrova e di cui si nutre. Infinita o indefinita come
le possibili variazioni che si propongono di quegli stessi universi,
pensiamo a Star Wars, o alle storie degli eroi della Marvel. Come se
queste storie non siano più dei racconti, ma dei mondi sterminati in
cui attingere e che possono durare fintanto che gli spettatori non se
ne siano nauseati. Questo è la nuova legge dello spettacolo: la
dipendenza. Una dipendenza legata alla promessa di scoprire qualcosa
di nuovo e definitivo.
Così come le serie anche i mezzi di mediazione relazionale che
sono diventati gli smartphone, si propongono come un indefinita
ripetizione dell’identico mancato. Anch’essi sono proposti come
una infinita serie numerica che non indica altro che una promessa
mancata. Il nuovo, non sostituisce il vecchio, ma lo rende obsoleto
con la semplice nuova numerazione seriale. Cosa c’è nel nuovo che
il vecchio non aveva? Nulla, solo la promessa di essere al passo con
i tempi. Una promessa impossibile da mantenere anche in questo caso.
Come le serie televisive, la tecnologia che ci circonda non porta
nulla di nuovo, ma reitera la promessa di un futuro in cui non avremo
bisogno d’altro. Un futuro in cui saremo, potremo, sapremo, ma che
non vediamo mai realizzarsi veramente. Siamo cullati da questa
passiva speranza. La gioia di conoscere è sempre rinviata, la
speranza di essere sempre allontanata, barattata nel cullarsi dolce
che qualcuno o qualcosa lo faccia per noi. Finché non ci annoiamo di
aspettare o ci dimentichiamo perché abbiamo iniziato il viaggio. Una
serie di per sé non può che essere infinita. Una trappola a cui
siamo predisposti a cadere. Occorre rompere le serie, fare
intervenire la differenza nella ripetizione, per liberarci da questa
nuova schiavitù.
Il solstizio si avvicina e per uscire dalla passività e per
realizzarsi realmente non ci resta che suonare ed improvvisare.
Producendo attivamente, affermando chi siamo in ogni istante, come
esercizio di disintossicazione dalla serie ripetitiva,
l’improvvisazione è uno strumento per liberarsi dalla serialità.
Dunque, non possiamo che invitarvi tutti al grande sabba
dell’improvvisazione, celebrato per la sedicesima volta. Non una
serie, ma un anniversario! Come sempre chiunque è benvenuto. Venerdì
20 dicembre dalle ore 18.
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